Nel video, i giornalisti del tg1 ringraziano – felici – il terremoto
Sostanzialmente, mi piacerebbe che la pacchia finisse per tante persone. Esseri responsabili di azioni e comportamenti nefasti che innescano nella nostra società usi, costumi e cataclismi misurabili in termini di pensieri propri. Inesistenti.
È che scrivendo post di questo genere, il rischio è quello di vedersi affibiato il ruolo del personaggio che finisce col fare la figura del saccente, quello che “lo sapeva”, eccetera. In realtà sono una persona normalissima, una delle tante che appartiene orgogliosamente a quell’oscurità sommersa. Un abitante della Rete insomma. Che ha tanta voglia di pensare, informarsi e sentirsi “individuo”, concetto ormai caduto in disuso da queste parti. Ogni giorno infatti il contesto in cui viviamo cerca di farci sentire dei diversi o dei deviati solo perché non partecipiamo al televoto, non sappiamo niente sugli ultimi reality e guardiamo poca tv.
Ma “ehi”, mi sento di dire a tutta la ciurma di (non) stare tranquilli, che non è così: il mondo che pensiamo, osserviamo e descriviamo picchettando su un’umile tastiera esiste ed è verità anche se non ce lo mostra la televisione; le cose – belle o brutte che siano – esistono e gli avvenimenti accadono anche se nessuno ne parla o, appunto, ce li fa vedere da qualche parte.
In questa seconda parte di post sul terremoto vorrei quindi concentrarmi su alcuni aspetti misteriosamente sfuggiti ai più. Mentre i media sono ancora impegnati a raccontarci la drammaticità della vicenda abruzzese, con interviste degne di un bambino dell’asilo, immagini del primo bambino nato dopo la tragedia, il primo matrimonio o la nonnina centenaria che ne ha viste di tutti i colori a cavallo dei secoli, il mondo continua a girare. Sempre dalla parte opposta alla nostra si intende. E purtroppo, le scosse in Abruzzo proseguono, così come il conteggio dei morti, misteriosamente interrottosi qualche settimana fa. La cosa è strana, specialmente perché Bertolaso (uomo messo da Berlusconi, sia chiaro) – in ogni disastro – è in genere utile solo a raccogliere vittime, contarle e al massimo a far recapitare tombe a domicilio, che si fa prima. Eppure egli è capace di mettere in riga ministri e sottosegretari, pretendere, minacciare. Il segreto della sua forza è nei flussi di denaro che è in grado di gestire. Cifre impossibili da calcolare.
Alcune piccole differenze tra l’indegno modo di fare giornalismo italiota e quello di una nota tv tedesca
Prima di arrivare a parlare del numero delle vittime che non torna, è necessaria una premessa, che come sempre spiega tante cose. Aspetti sepolti e che tali rimarranno, volutamente o meno. Per colpa di chi, lo deciderà ognuno di noi. Mentre gran parte degli abitanti dell’Aqulia e dei paesini colpiti dal terremoto continua a rimanere nelle tende infatti, prosegue ininterrottamente la processione, la via crucis dei nostri fantasmagorici giornalisti, lì non tanto per documentare, quanto piuttosto per seguire i politici: vi invito calorosamente a guardare i video prima di proseguire la lettura.
Se dopo averli visti non avete frantumato a martellate lo schermo, proviamo a delineare brevemente cosa sono stati capaci di proporci coloro che dovrebbero informare e rendere più libera la collettività:
a) riportare sulle pagine dei quotidiani on line immagini taroccate di terremoti e catastrofi naturali da altre parti del mondo, enfatizzando vogliosamente la tragedia; b) ringraziare il terremoto per gli ascolti; c) non essere mai stati all’altezza di raccontare sobriamente il terremoto, intervistando con metodi dilettantistici persone che hanno perso tutto – compreso le vite di persone care; d) zero inchieste, servizi o contenuti interessanti (salvo rare eccezioni) che aiutassero a mettere in luce le vere magagne e le gravi responsabilità di alcuni sulle centinaia di morti; e) infine, dove diavolo erano i giornalisti nei mesi precedenti? Sono mesi che in Abruzzo ci sono scosse, e mai nessuno ne ha parlato.
La verità è che gli abruzzesi sono stati mandati a morire scientemente. Perché in questi maledetti mesi nessun piano di emergenza era stato approntato. Quando bastava un’evacuazione. O forse bisognava approfondire certi studi e capire perché solo certe persone sostengono che i terremoti non si possano prevedere a priori, o quantomeno capire perché a questa gente non interessa progettare dei piani di sicurezza. Poi però vai a vedere chi produce i sismografi in Italia e di chi sono quelli dell’INFV e ti dai delle risposte. E qui mi fermo, per rispetto alle vittime.
Fate pena giornalisti, ogni giorno di più: come fate a guardarvi allo specchio? Come fate a leggere senza batter ciglio quei maledetti fogli scritti e concordati durante i tg? Vi rendete conto che voi siete direttamente coinvolti e responsabili della vergogna in cui ci siamo trasformati? Com’è possibile che persone come voi lavorino a questi livelli e vengano considerate professionisti dell’informazione? Mi scuso con le poche eccezioni, ma tant’è.
Il problema è che c’è una qualcosa di gravissimo che non torna, come accennavo in precedenza: il numero delle vittime. Il grido di disperazione e di verità sulle vittime è partito da Anna, che sta vivendo sulla propria pelle il terremoto. Leggete il suo blog: troverete tante verità sepolte.
Basti pensare che ad Onna (che è stata praticamente cancellata) ci sono circa 350 abitanti e più o meno hanno contato 50 morti; l’Aquila invece conta 72.946 abitanti e ci hanno detto che i morti sono poco circa 290, compresi quelli di Onna. E da quel momento, dopo i funeralli fantoccio con i ministri in primo piano, stop ai conteggi: i morti non servivano più a niente. Quello che i due medici hanno riferito ad Anna, e cioé che tanti dei ricoverati negli ospedali morti a seguito del terremoto non sono stati conteggiati fra le vittime, è un’altra prova dello scempio. Traete voi le conclusioni.
La realtà dice infatti che i morti effettivi sarebbero circa un migliaio. Tra le altre cose, oltre alla logica, ci sarebbero vari elementi che spingerebbero verso un numero decisamente più elevato di vittime: “il centro storico dell’Aquila è da abbattere e ricostruire. E questo lo dicono in tanti. I morti, i feriti e gli sfollati sono stati contati, più o meno precisamente. E questo lo dicono tutti. Adesso vi dirò qualcosa che non dice nessuno.
Gli scantinati e i seminterrati del 90% del centro storico erano stati affittati. In nero. Dentro c’erano clandestini, immigrati, extracomunitari, come italiani qualsiasi. Spesso ammassati. Ci sono ancora. Decine o centinaia di persone che non risultano all’anagrafe, che non compaiono nelle liste dei dispersi, che non esistono. I proprietari delle case che si sono messi in salvo non ne denunciano la presenza. Non gli conviene. Nessuno li cerca. Nessuno li piange. Da vivi non esistevano, non esistono neppure da morti. Spazzati via di nascosto, come la polvere sotto al tappeto. In fondo, perchè darsi tanta pena per loro? Una tomba ce l’hanno già. E questa volta non gli è costata niente. Gliel’abbiamo data gratis.
All’Aquila sono in molti a saperlo. Ora, lo sapete anche voi.”
Perché nessuno vuole approfondire queste evidenze? Perché sono ormai pochissimi coloro che ancora sanno fare i giornalisti; la stragrande maggioranza si limita ad eseguire ordini del superiore inquadrato nelle logiche partitiche e politiche italiane.
Quindi perché lamentarsi se non si parla di protezione civile o della reale situazione che subiscono i terremotati nelle tendopoli? Queste sono le uniche e vere voci di cui possiamo fidarci: quelle della presa diretta, del “lo sto testando sulla pelle”. Tutto il resto è finzione, sappiatelo. Penso che chiunque abbia assistito almeno una volta a come venga preparata un’intervista; credete davvero che in tv facciano vedere quello che non gli fa comodo?
Ora che l’opinione pubblica ha spianato anche il terreno per diffondere l’idea benevola della ricostruzione, delle fantomatiche “New Town” berlusconiane, qualcuno dovrà spiegarmi altre cose che non tornano e che ho già trattato in parte nel post precedente.
Come possiamo pensare di ricostruire correttamente e in fretta città intere se oggi in Italia, nel 2009, ancora crollano i ponti dopo una settimana di pioggia? Come si può pensare di costruire centrali nucleari o opere tanto mastodontiche quanto inutili come il ponte sullo Stretto? Come possiamo stare tranquilli negli edifici pubblici o girare per strada se dopo qualche giorno di acquazzoni, le strade si distruggono? Come può, una città come Milano, andare in tilt giorno e notte perché salta la corrente e i tram non funzionano più? E il bello è che ci vendono l’Expo 2015 come una vittoria per tutti, uno splendido colpaccio made in Italy. Poi però ti informi e scopri che Milano ha vinto a mani basse sconfiggendo addirittura la temibilissima Smirne: erano le uniche due città candidate!
L’Expo 2015 di Milano è infatti l’ennesima cattedrale nel deserto, un’opera megagalattica che ha acceso già l’ingordigia di molti; il problema è che Milano non è in grado ed è incapace di sostenere un progetto simile, specialmente con questa giunta. Stiamo parlando di una delle città trainanti dell’economia italiana che viene costantemente ridicolizzata ogni qualvolta piove, nevica o viene il raffreddore a qualche operaio. Tanto che difficilmente si potrà realizzare ciò che è stato promesso e sbandierato.
Però si fa l’Expo, non il depuratore; si fa l’Expo, ma non si sistemano scuole, università, case o ospedali, che se fate un giro al Niguarda o in un qualsiasi ospedale di Milano sembra di uscire dal regno delle Muffe.
Tutto questo avviene nel momento in cui nessuno sta più parlando della crisi: sembra che tutti se ne siano misteriosamente dimenticati. E intanto le aziende continuano a chiudere, a licenziare o a ricorrere alla cassa integrazione.
Ma orsù dunque, pubblico pagante, siate fiduciosi: tra veline, magnacci, “papi” e scugnizzi, lì in mezzo ci sarà pur uno che saprà il fatto suo e ci tirerà fuori dai guai, no?